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Domanda: "Cosa dovremmo imparare dalla vita di Abrahamo?"

Risposta:
Ad eccezione di Mosè, nessun altro personaggio dell'Antico Testamento viene menzionato tanto nel Nuovo Testamento come Abrahamo. Giacomo chiama Abrahamo "amico di Dio" (Giacomo 2:23), un titolo che non viene usato in nessun'altra parte della Scrittura. I credenti di tutte le generazioni sono chiamati "figli di Abrahamo" (Galati 3:7). L'importanza di Abrahamo e il suo impatto sulla storia della redenzione sono chiaramente visibili nella Scrittura.

La vita di Abrahamo occupa una buona parte della narrazione della Genesi, dalla sua prima menzione in Genesi 11:26 fino alla sua morte in Genesi 25:8. Nonostante sappiamo molto della sua vita, ci viene detto poco della sua nascita e della sua infanzia. Quando incontriamo Abrahamo per la prima volta, ha già 75 anni. Genesi 11:28 riporta che il padre di Abrahamo, Terah, viveva ad Ur, una città importante nel Sud della Mesopotamia, situata lungo il Fiume Eufrate, a circa metà strada tra il Golfo Persico e la città odierna di Baghdad. Leggiamo anche che Terah prese la sua famiglia e si diresse nella terra di Canaan, ma si stanziò invece nella città di Haran nel Nord della Mesopotamia (sulla rotta commerciale dell'antica Babilonia e a circa metà strada tra Ninive e Damasco).

La storia di Abrahamo diventa davvero interessante all'inizio di Genesi 12. Nei primi tre versetti, vediamo la chiamata di Abrahamo da parte di Dio:

"Ora l'Eterno disse ad Abrahamo: «Vattene dal tuo paese, dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai una benedizione. E benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà; e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra" (Genesi 12:1-3).

Dio dice ad Abrahamo di lasciare la sua casa ad Haran e di recarsi in una terra che gli avrebbe mostrato. Dio fece anche tre promesse ad Abrahamo: 1) la promessa di una terra tutta sua; 2) la promessa di diventare una grande nazione; e 3) la promessa della benedizione. Queste promesse sono alla base di ciò che in seguito verrà chiamato il Patto Abramitico (stabilito in Genesi 15 e ratificato in Genesi 17). Ciò che rende Abrahamo davvero speciale è il fatto che egli obbedì a Dio. Genesi 12:4 riporta che, dopo che Dio chiamò Abrahamo, egli andò "come l'Eterno gli aveva detto". L'autore della Lettera agli Ebrei usa Abrahamo come esempio di fede diverse volte, e fa in particolare riferimento a questa azione sbalorditiva: "Per fede Abrahamo, quando fu chiamato, ubbidí per andarsene verso il luogo che doveva ricevere in eredità; e partí non sapendo dove andava" (Ebrei 11:8).

Quanti di noi lascerebbero indietro tutto quello che ci è familiare per andare da qualche parte, senza conoscere la destinazione? Il concetto di famiglia significava tutto per una persona che viveva ai tempi di Abrahamo. A quell'epoca, i nuclei familiari erano molto uniti; era insolito che i membri di una famiglia vivessero a centinaia di chilometri di distanza gli uni dagli altri. Inoltre, non ci viene detto nulla sulla vita religiosa di Abrahamo e della sua famiglia, prima della sua chiamata. Il popolo di Ur e quello di Haran adoravano l'antico pantheon degli dèi babilonesi, in particolare il dio della luna, Sin. Dunque, Dio chiamò Abrahamo da una cultura pagana. Abrahamo riconobbe la chiamata di Yahweh, il Signore, ed obbedì volentieri, senza esitare.

Un altro esempio della vita di fede di Abrahamo si vede nella nascita di suo figlio, Isacco. Abrahamo e Sara non avevano figli (un vero motivo di vergogna in quella cultura), eppure Dio promise ad Abrahamo una discendenza (Genesi 15:4). Quel figlio sarebbe stato l'erede della vasta fortuna con la quale Dio lo aveva benedetto, e, cosa ancora più importante, sarebbe stato l'erede della promessa e la continuazione della discendenza santa di Seth. Abrahamo credette nella promessa di Dio, e quella fede gli viene imputata come giustizia (Genesi 15:6). Dio ripete la Sua promessa ad Abrahamo in Genesi 17, e la sua fede viene ricompensata in Genesi 21 con la nascita di Isacco.

La fede di Abrahamo sarebbe stata nuovamente messa alla prova con suo figlio, Isacco. In Genesi 22, Dio comandò ad Abrahamo di sacrificarlo sulla cima del Monte Moria. Non sappiamo come egli reagì dentro di sé a questo comando. L'unica cosa che vediamo è che Abrahamo obbedì fedelmente al Dio che era il suo scudo (Genesi 15:1) e che era stato straordinariamente misericordioso e buono con lui fino a quel punto. Come con il comando precedente di lasciare la sua casa e la sua famiglia, Abrahamo obbedì (Genesi 22:3). Sappiamo che la storia ha un lieto fine, in quanto Dio fermò Abrahamo dal sacrificare Isacco, ma immaginate come si sia dovuto sentire lui. Aveva atteso decenni per avere un figlio tutto suo, e il Dio che gli aveva promesso quel figlio glielo stava per togliere. Il punto è che la fede di Abrahamo in Dio era superiore all'amore per il figlio, ed egli credeva che, anche sacrificando Isacco, Dio fosse in grado di riportarlo indietro dal regno dei morti (Ebrei 11:17-19).

Certamente, Abrahamo ebbe i suoi momenti di mancanze e di peccato (come tutti noi), e la Bibbia non manca di parlarne. Sappiamo almeno di due occasioni in cui Abrahamo mentì sulla sua relazione con Sara per proteggersi in terre potenzialmente ostili (Genesi 12:10-20; 20:1-18). In entrambi questi incidenti, Dio protesse e benedisse Abrahamo, nonostante la sua mancanza di fede. Sappiamo anche che la frustrazione di non avere un figlio pesava ad Abrahamo e Sara. Sara suggerì ad Abrahamo di avere un figlio con la sua serva, Agar, al suo posto; Abrahamo accettò (Genesi 16:1-15). La nascita di Ismaele non solo dimostra la futilità e la follia della mancanza di fede di Abrahamo, ma anche la grazia di Dio (nel permettere la nascita e persino nella benedizione di Ismaele). È interessante notare che Abrahamo e Sara a quel tempo si chiamavano Abramo e Sarai. Ma, quando Ismaele aveva tredici anni, Dio diede ad Abramo un nuovo nome, insieme al patto della circoncisione e alla promessa ripetuta di dargli un figlio con Sarai, la quale ricevette allo stesso modo un nome nuovo (Genesi 17). Abramo, che significa "alto padre," diventò Abrahamo, "padre di una moltitudine". Infatti Abrahamo ebbe molti discendenti biologici, e tutti coloro i quali ripongono la loro fede in Dio per mezzo di Gesù, sono considerati eredi spirituali di Abrahamo (Galati 3:29). Il "Padre dei Fedeli" ebbe i suoi momenti di dubbio ed incredulità, ma nonostante questo viene esaltato tra gli uomini come esempio di vita fedele.

Una lezione ovvia che possiamo imparare dalla vita di Abrahamo, è che dobbiamo vivere una vita di fede. Abrahamo poté portare suo figlio Isacco sul Monte Moria perché sapeva che Dio era leale, e che avrebbe mantenuto le Sue promesse. La fede di Abrahamo non era una fede cieca; la sua fede era una sicurezza certa, e una fiducia in Colui il Quale Si era dimostrato leale e vero. Se dovessimo guardare alle nostre stesse vite, vedremmo la mano della Provvidenza di Dio in ogni loro momento. Dio non deve farci visita, accompagnato da angeli o parlando da cespugli ardenti, o separare il mare, per essere attivo nelle nostre vite. Dio sta sovrintendendo e orchestrando gli eventi delle nostre vite. Certe volte potrebbe non sembrare così, ma la vita di Abrahamo è la prova che la presenza di Dio nelle nostre vite è reale. Persino i fallimenti di Abrahamo dimostrarono che Dio, nonostante non ci protegga dalle conseguenze del nostro peccato, adempie misericordiosamente la Sua volontà dentro di noi e per mezzo di noi; niente di ciò che facciamo sconvolge il Suo disegno.

Allo stesso modo, la vita di Abrahamo ci mostra la benedizione della semplice obbedienza. Quando gli venne chiesto di lasciare la sua famiglia, Abrahamo la lasciò. Quando gli venne chiesto di sacrificare Isacco, Abrahamo "si alzò presto il mattino seguente" per farlo. Da quello che possiamo apprendere dalla narrazione biblica, non ci fu esitazione nell'obbedienza di Abrahamo. Abrahamo, come la maggior parte di noi, avrebbe potuto struggersi per via di queste decisioni, eppure, quando era il tempo di agire, egli agì. Quando riconosciamo la vera chiamata di Dio, o leggiamo i Suoi comandi nella Sua Parola, dobbiamo essere attivi. Quando Dio comanda qualcosa, la nostra obbedienza non è opzionale.

Dalla vita di Abrahamo si evince anche quella che sembra essere una relazione attiva con Dio. Anche se Abrahamo obbediva immediatamente, egli non si tirava indietro dal porre a Dio delle domande. Abrahamo credeva che Dio avrebbe dato a lui e a Sara un figlio, ma si chiedeva come sarebbe potuto accadere (Genesi 17:17–23). In Genesi 18 leggiamo la narrazione di Abrahamo che intercede per Sodoma e Gomorra. Abrahamo affermò che Dio era santo e giusto e non poteva immaginare che avrebbe distrutto i giusti insieme ai peccatori. Egli chiese a Dio di risparmiare le città peccatrici per il bene di cinquanta giusti, e continuò a scendere di numero, fino a dieci. Alla fine seppe che non c'erano dieci uomini giusti a Sodoma, ma Dio risparmiò il nipote di Abrahamo, Lot, insieme alla sua famiglia (Genesi 19). È interessante notare che Dio rivelò il Suo piano ad Abrahamo prima di distruggere le città, e che non fosse sorpreso dalle sue domande. Si tratta di esempi di interazione con Dio riguardo i Suoi piani, di intercessione per gli altri, della giustizia di Dio e della sottomissione alla Sua volontà.

La mancanza di fede di Abrahamo, in particolare riguardo la situazione con Agar e Ismaele, ci mostra la follia di provare ad assumere il controllo della situazione. Dio aveva promesso un figlio ad Abramo e a Sara, ma, nella loro impazienza, la loro strategia di dare un erede ad Abramo fu controproducente. Innanzitutto, scatenò del conflitto tra Sara ed Agar, e in seguito tra Ismaele ed Isacco. I discendenti di Ismaele finirono con il diventare nemici acerrimi del popolo di Dio, come leggiamo nella narrazione successiva dell'Antico Testamento, e lo stesso continua ancora oggi con il confitto tra Israele e i suoi vicini arabi. Non possiamo realizzare la volontà di Dio con le nostre forze; alla fine i nostri sforzi creeranno ancora più problemi. Questa lezione ha vaste applicazioni nelle nostre vite. Se Dio ha promesso di fare qualcosa, dobbiamo essere fedeli e pazienti ed aspettare che La realizzi secondo la Sua tempistica.

Teologicamente parlando, la vita di Abrahamo è un esempio vivente della dottrina della sola fide, ovvero della giustificazione per sola fede. Per due volte, l'apostolo Paolo usa Abrahamo come esempio di questa dottrina cruciale. Nella Lettera ai Romani, l'intero capitolo quattro viene dedicato alla dimostrazione della giustificazione per sola fede, secondo la vita di Abrahamo. Una disamina simile viene fatta nella Lettera ai Galati, in cui Paolo mostra, per mezzo della vita di Abrahamo, che i Gentili sono eredi delle benedizioni di Abrahamo per mezzo della fede, insieme agli Ebrei (Galati 3:6-9, 14, 16, 18, 29). Ciò risale a Genesi 15:6, "Ed egli credette all'Eterno, che glielo mise in conto di giustizia." La fede di Abrahamo nelle promesse di Dio era sufficiente perché Egli lo dichiarasse giusto ai Suoi occhi, dunque provando il principio della Lettera ai Romani 3:28. Abrahamo non fece nulla per meritare la giustificazione. La sua fede in Dio era sufficiente.

Lo vediamo nell'operato della grazia di Dio, quasi al principio dell'Antico Testamento. Il Vangelo non inizia con la vita e la morte di Gesù, ma risale fino alla Genesi. In Genesi 3:15, Dio fece una promessa, che "il seme di lei [della donna]" avrebbe schiacciato la testa del serpente. I teologi credono che si tratti della prima menzione del Vangelo nella Bibbia. Il resto delle cronache dell'Antico Testamento mostra le conseguenze pratiche del Vangelo della grazia di Dio per mezzo della serie di promesse che inizia con Seth (Genesi 4:26). La chiamata di Abrahamo fu solo un altro tassello nella storia della redenzione. Paolo ci dice che il Vangelo fu insegnato precedentemente da Abramo, quando Dio gli disse "Tutte le nazioni saranno benedette in te" (Galati 3:8).

Un'altra cosa che impariamo dalla vita di Abrahamo è che la fede non è ereditaria. In Matteo 3:9, Luca 3:8, e Giovanni 8:39, impariamo che non è sufficiente essere discendenti biologici di Abrahamo per essere salvi. L'insegnamento pratico per noi è che non è sufficiente crescere in una casa cristiana; non entriamo in comunione con Dio né guadagniamo l'accesso al Cielo in base alla fede di qualcun altro. Dio non è obbligato a salvarci semplicemente perché abbiamo un pedigree cristiano impeccabile. Paolo usa l'esempio di Abrahamo nella Lettera ai Romani 9, dove dice che non tutti i discendenti di Abrahamo furono eletti per la salvezza (Romani 9:7). Dio sceglie sovranamente coloro i quali ricevono la salvezza, ma quest'ultima si presenta insieme alla stessa fede che Abrahamo professò nella sua vita.

Infine, vediamo che Giacomo usa la vita di Abrahamo come esempio del fatto che la fede senza le opere è morta (Giacomo 2:21). L'esempio che usa è la storia di Abrahamo e Isacco sul Monte Moria. La semplice affermazione delle verità del Vangelo non è sufficiente a salvarci. La fede deve avere come conseguenza le buone opere di obbedienza che mostrano una fede vivente. La fede che fu sufficiente per giustificare Abrahamo e che fu messa in conto come giustizia agli occhi di Dio (Genesi 15) era la stessa fede che lo spinse ad agire quando obbedì al comando di Dio di sacrificare suo figlio Isacco. Abrahamo fu giustificato dalla sua fede, e la sua fede fu provata nelle sue opere.

In ultima analisi, vediamo che Abrahamo fu un individuo esemplare, non tanto per la sua pietà o per la sua vita perfetta (ebbe delle mancanze, come vediamo), ma perché la sua vita mostra tante verità della fede cristiana. Dio chiamò Abrahamo tra i milioni di persone sulla Terra affinché fosse oggetto delle Sue benedizioni. Dio usò Abrahamo come personaggio centrale per la storia della redenzione, che culminò nella nascita di Gesù. Abrahamo è un esempio vivente di fede e speranza nelle promesse di Dio (Ebrei 11:8–10). Le nostre vite dovrebbero essere vissute in modo tale che, quando giungiamo alla fine dei nostri giorni, la nostra fede, come quella di Abrahamo, rimanga come eredità duratura per gli altri.

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