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Domanda: "Qual è una buona esegesi biblica?"

Risposta:
Esegesi significa “esposizione o spiegazione”. L’esegesi biblica comporta l’esame di un particolare testo della Scrittura per interpretarlo correttamente. L’esegesi fa parte del processo di ermeneutica, la scienza dell’interpretazione. Chi pratica l’esegesi è chiamato esegeta.

Una buona esegesi biblica è di fatto comandata dalla Scrittura. “Studiati di presentare te stesso approvato davanti a Dio [NdT: sforzati così che Dio ti trovi degno di approvazione], operaio che non ha da vergognarsi, che esponga rettamente la parola della verità” (2Timoteo 2:15). Secondo questo versetto, dobbiamo trattare la Parola di Dio in modo appropriato e studiarla diligentemente. Se non lo facciamo, abbiamo motivo di vergognarci.

Questi sono alcuni principi fondamentali di buona esegesi che chi studia la Bibbia seriamente deve seguire:

1. Il principio grammaticale
La Bibbia è stata scritta con un linguaggio umano e il linguaggio ha una certa struttura e segue determinate regole. Pertanto, dobbiamo interpretare la Bibbia tenendo conto delle regole fondamentali della lingua.

Di solito, l’esegeta inizia a esaminare un passaggio con la definizione delle parole in esso contenute. Tali definizioni sono fondamentali per la comprensione del brano nel suo complesso ed è importante che le parole siano definite secondo il loro intento originale e non secondo l’uso moderno. Per garantirne l’accuratezza, l’esegeta si avvale di una traduzione affidabile e di dizionari di greco ed ebraico.

Successivamente, l’esegeta esamina la sintassi, ossia le relazioni grammaticali tra le parole presenti nel brano. Trova i parallelismi, determina quali idee sono primarie e quali subordinate, individua i soggetti, i verbi e i rispettivi modificatori. Magari fa anche lo schema di qualche versetto.

2. Il principio letterale
Si presume che ciascuna parola contenuta in un brano abbia un significato normale e letterale, a meno che non vi siano buone ragioni per considerarla un’espressione figurativa. L’esegeta non fa di tutto per spiritualizzare o allegorizzare. Una parola significa quel che significa.

Quindi, se la Bibbia parla di un “cavallo”, significa “un cavallo”. Quando la Bibbia parla della Terra Promessa, significa una terra letterale data a Israele e non deve essere interpretata come un riferimento al paradiso.

3. Il principio storico
Con il passare del tempo, la cultura cambia, i punti di vista cambiano, la lingua cambia. Dobbiamo guardarci dall’interpretare le Scritture in base a come la nostra cultura vede le cose al giorno d’oggi; dobbiamo sempre inquadrare le Scritture nel loro contesto storico.

Chi studia diligentemente la Bibbia deve prendere in considerazione la geografia, le usanze, gli eventi dell’epoca e persino lo scenario politico del tempo in cui un passo è stato scritto. La comprensione dell’antica cultura ebraica può aiutare molto la comprensione delle Scritture. Per svolgere le proprie ricerche, l’esegeta può utilizzare dizionari biblici, commentari e libri di storia.

4. Il principio sintetico
Il miglior interprete della Scrittura è la Scrittura stessa. Dobbiamo esaminare un passo in relazione al suo contesto immediato (i versetti che lo circondano), al suo contesto più ampio (il libro in cui si trova) e al suo contesto completo (la Bibbia nel suo insieme). La Bibbia non si contraddice. Qualsiasi affermazione teologica presente in un versetto può e deve essere armonizzata con le altre affermazioni teologiche presenti nel resto della Scrittura. Una buona interpretazione della Bibbia mette in relazione ogni singolo passo con l’intero contenuto della Scrittura.

5. Il principio pratico
Dopo aver esaminato correttamente un passaggio per comprenderne il significato, abbiamo la responsabilità di metterlo in pratica nella nostra vita. Esporre “rettamente la parola della verità” non è un semplice esercizio intellettuale: è un evento che cambia la vita.

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